
Fiumi di vino sfuso scorrono un po’ ovunque, dalla trattoria di Giggetto il fetecchione ai banconi di Eataly, fino alla cucina d’autore stellata. Se ne parla fin troppo ma, con questa crisi, la pressione fiscale e le amanti moldave incontentabili, sarà bene farci tutti un pensierino.
Avvicinare il pubblico al consumo di vino sfuso ha senso soprattutto in un periodo difficile come questo e mi auguro siano superati i tempi del bere poco per bere meglio: io infatti bevo più che posso ma occorre puntualizzare alcune regole, se ci piace il vino buono, perché la maggior parte dello sfuso che troviamo in giro non lo è.
1) La più importante. I produttori seri FANNO VINO e solo successivamente decidono cosa mettere in bottiglia e cos’altro vendere sfuso. Quindi, è ovvio che il meglio della selezione finisca in bottiglia. Tuttavia a qualcuno capita di sbagliare, come nel caso di Valentini, che sta per vendere sfuso un cerasuolo buonissimo che avrebbe potuto tranquillamente imbottigliare. Peggio per lui!
2) Il vino sfuso è una buona proposta per la trattoria, dove può essere servito a prezzi contenuti; la vendita nei ristoranti stellati, con ricarichi più alti rispetto alla carta delle bottiglie, ha senso soltanto dal punto di vista della saccoccia del ristoratore e nessun altro. Speculare sul prodotto quotidiano per eccellenza non è cosa buona, quindi occhio ai ristoratori birboni che comprano sfuso a 3,90 euro/l e lo rivendono a 40 sfruttando, a garanzia, il nome di un bravo produttore.
3) Scegliete con cura il produttore e l’azienda di riferimento perché la fiducia è più importante della mineralità e, addirittura, dei sentori di pittosporo. Attenzione perché col vino sfuso il rischio del miracolo inverso delle nozze di Cana è assai elevato, soprattutto in assenza di un bravo enologo come Gesù. Limitatevi alla scelta della tipologia, senza tante menate su strutture e concentrazioni, tanto il Barolo sfuso è vietato dal disciplinare. Occhio alle trappole e al rischio “mischioni” soprattutto nelle mescite dove se ne vedono di tutti i colori.
4) Conviene orientarsi sul produttore di una zona vicina a casa vostra. Se (fortunelli!) vivete a Vimercate, provate a dare un’occhiata all’Oltrepò Pavese prima di pensare al nero d’avola di Pachino. Se gli risparmiate quei 1500 km di distanza per il trasporto, il vino vi ringrazierà.
5) Acquistate il vino sfuso solo in relazione ai vostri consumi: se bevete poco non conviene, ma se avete molta sete, orientatevi su dolcetto, verdicchio, montepulciano d’Abruzzo, schiava, primitivo. Suggerisco anche il perricone; visto che non conviene metterlo in bottiglia, tanto vale incentivare il consumo sfuso di questo vitigno decisamente prescindibile.
Cari amici, gli anni passano, la crisi avanza e io sfornerò direttamente nipoti invece che figli. Se potete aiutarmi a precisare le indicazioni, una bevuta pagata delle mie a tutti: perché uno sfuso buono non si nega a nessuno.
[Foto: Alessandro Morichetti. Leggi anche: Vino sfuso | (Cerco) tutti i segreti dell’imbottigliamento perfetto]