
I maschi hanno una stupida forma di disagio nel bere vini rosati ma vi posso garantire che l’uomo vero beve anche Champagne Rosé, senza bisogno di indossare i collant e io me ne intendo, di collant. Ultimamente impazzisco per lo Champagne Rosé, quello buono per davvero che è difficile da trovare e comunque, in generale, preferisco i vini di facile beva. Superato un decennio abbondante di ricercate complessità stilistiche che hanno messo a dura prova i miei sensi, ora prediligo finezza e leggerezza, che mi permettono di coltivare la piacevole abitudine di bere come un alpino senza pudore nel produrre pessime rime come il signor Bonaventura.
Spesso gli Champagne Rosé presentano meno asperità rispetto ai Blanc vari, grazie all’aggiunta di vino rosso o alla maggior presenza di pinot nero, quindi sono più fini, sia sotto il profilo dell’eleganza che come impatto al palato della carbonica. A proposito di carbonica, ma il perlage non interessa più? Mi pare che negli ultimi tempi l’argomento riguardi sempre meno i palati dotti. Ed ecco perché la sora Cecioni, al bar latteria sotto casa, ha la pretesa vezzosa d’esser servita del suo “prosecchino” in un calice ampio. Sarò fuori dal coro ma, salvo problemi anatomici come avere uno sconveniente naso a banana, non ho alcun problema ad utilizzare la flûte per spumanti e Champagne sans année e non invecchiati, perché è il bicchiere migliore per controllare l’aspetto visivo del perlage, bolla per bolla.
Pretendo invece un calice ampio quando l’impatto olfattivo chiede il centro della scena, come nel caso di Champagne millesimati o molto vecchi. Il resto, per quanto mi riguarda, attiene più ad atteggiamenti modaioli e chi si atteggia, di regola, perde tempo con tutti quelli che gli vanno dietro con buona pace della sora Cecioni.
La produzione in Champagne sta superando la ricerca della concentrazione o l’eccessivo zuccheraggio, per ritrovare finezza ed eleganza e in questo momento alcuni Rosé battono al fotofinish i brut che ancora scalpitano nella ricerca di personalità. Ecco qualche etichetta che ho bevuto di recente, con belle sorprese e qualche brutta delusione.
Dom Perignon Rosé 2002. Uscito da poco sul mercato (e subito esaurito, infatti è già in consegna l’annata 2003) è decisamente fra i migliori che abbia provato. Ha i pregi indiscussi di un millesimo felice e le caratteristiche dei grandi rosé. Color salmone, al naso conquista subito con la rosa, i frutti rossi e una lieve tostatura derivata dal legno. La bocca sa di idrocarburi, è cremosa ma leggera e con la giusta acidità, equilibrata e molto fresca, con buccia d’arancia e pompelmo rosa. Indubbiamente giovane ma assai godibile. Per la mia esperienza i rosé non raggiungono quasi mai questi livelli, se si fa eccezione per Dom Perignon Oenoteque Rosé, Krug e poco altro di altissimo rango.
Egly-Ouriet Brut Rosé grand cru. È un rosé d’assemblage che necessita di molta precisione perché gestire con misura il pinot nero di Ambonnay non è facile. Un po’ pesante stavolta, lo ricordavo rustico ma più accattivante e lieve. Il frutto c’è ed è scuro, arancia rossa e melograno con note speziate e un finale amarognolo. Il perlage, come sempre, non è fine ma ben gestito. Purtroppo, fatico a finire la bottiglia. Peccato, un tempo era fra i miei preferiti.
Comtes de Champagne Rosé 2002 Taittinger. Un grande classico che non provavo da tempo e mi ha soddisfatta. Naso floreale con accenti che scandiscono cassis, agrume, arancia rossa, mirtilli e ribes. Bocca cremosa, ricca senza alcuna pesantezza e persistente, perlage perfetto e acidità di grande e fresca beva. Decisamente lungo ed equilibrato senza il minimo cedimento dal centro bocca in poi. Vino con enorme potenziale di invecchiamento. Una piacevolissima rentrée, fra i miei assaggi, uno champagne aristocratico.
Beaufort Ambonnay Rosé grand cru. Per me questo produttore è ampiamente sopravvalutato anche sui brut millesimati. Zero freschezza sia al naso che in bocca e l’impatto al palato è dolce e tremendamente primario. Sa di fragola come la vodka Keglevich. Per dirla schietta con un iperbole, m’è parso di aver a che fare con un Brachetto d’Aqui, però maturo e decisamente sgraziato.
Il Rosé di Billecart-Salmon è il solito grande classico molto scolastico, non costa troppo, ma mi annoia a morte per assenza di personalità. Il naso sa di rosa e lampone, in bocca compare la fragola con una nota dolce che non mi soddisfa. Anche la prestigiosa versione Cuvée Elisabeth 2000, con molta più materia ben argomentata, alla fine non appaga. In compenso ti svena.
Piollot Père & Fils, Rosé de saignée, brut, 100% pinot noir. A voi piace lo Champagne che puzza di formaggio? A me no. A parte questa fastidiosa caratteristica, riscontrata anche in un secondo assaggio a una settimana di distanza (cambiando bottiglia, ovviamente), Piollot mi è piaciuto. Il colore è intenso, molto vivace, ha note scure al naso, con tamarindo, mirto e spezie. In bocca complesso ma agile ed equilibrato, ampio e dinamico, ha slancio. Perlage potente, deciso, non proprio sottile e raffinato, ma mi interessa. Sul finale non è aggressivo, lascia dolcezza con sapidità e, pur giocando sulla nota seria e scura è, nel contempo, piacevole e mai chiuso su se stesso. Riesce ad essere leggero benchè estremamente complesso. Inoltre costa poco, sotto i cinquanta euro e può accompagnare dignitosamente tutta la cena.
Jérôme Prévost La Closerie Fac-Simile extra brut rosé. Il colore è abbastanza tenue, il naso e la bocca hanno l’impronta della casa, come sempre giocata sull’acidità, quindi molto verticale. Perlage fine elegantissimo. Decisamente sapido e fresco è perfetto come aperitivo. Il frutto è sottile, quasi acerbo, con nitidi sentori di agrume, soprattutto arancia rossa. La bocca è definita, netta, un po’ stretta ma in chiusura richiama il sorso successivo. Mi è piaciuto molto.
Larmandier-Bernier, Rosé Extra Brut premier cru, Rosé de saignée (100% pinot nero), Decisamente non è più quello di un tempo. Alleggerito nei toni rispetto a come lo ricordavo, sa di lampone e rabarbaro ed è retto da una buona acidità ma complessivamente delude. Ha una parvenza sciocca e un po’ ammiccante ma non mi è chiaro nei confronti di chi.
Veuve Cliquot Ponsardin, La Grande Dame 2004 Rosé brut. Nel bicchiere, più che una grande dama, ho trovato una gran bella gnocca che, con aggraziata ma scattante freschezza, rivela grinta materica e minerale, pienezza e complessità in un crescendo che è quasi un galoppo irrefrenabile. Questo è uno dei migliori rosé che abbia provato ultimamente.
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