
Se potessi ordinare un vino per la cena della tua vita, senza limite di prezzo e reperibilità, quale sceglieresti? Bella domanda, sarebbe un sogno. È successo a me e a Maurizio Paparello, sommelier di Roscioli a Roma, fra i più grandi palati in circolazione. Per reperire le bottiglie prescelte il nostro ospite si è affidato a Gabriele Speziale, che non definisco restaurant manager perché è un maître sommelier della vecchia scuola, quella che preferisco e, purtroppo, in estinzione. Speziale lavora a Lugano al ristorante Principe Leopoldo - ottimo locale che non tradisce le promesse della buona cultura gastronomica ticinese tradizionalmente nota fin dal Medioevo – dove il sogno mio e di Maurizio si è avverato.
Ho detto cena della vita, non “vino quotidiano”, buono, pulito e giusto, perché il semplice giochino organizzato dal nostro amico e misterioso ospite era: scegliamo tre vini, i migliori per i nostri palati, e beviamoli. Maurizio ed io non abbiamo battuto ciglio; ricordo solo che il mio pensiero si è rivolto dritto a un grande filosofo contemporaneo di cui ora mi sfuggono opere e omissioni (probabilmente perché il numero di opere coincideva con quello delle omissioni) il quale, avveduto e saggio affermava: “piatto ricco, mi ci ficco!”.
Ed ecco per quali etichette abbiamo scomodato da Roma le regali chiappe, ben consci che la barriera di accesso a certi ristoranti, e ai vini prescelti, non sia per tutti.
Henri Jayer, Vosne-Romanée Cros Parantoux 1978, magnum.
Tappo. Sì, avete letto bene, ho detto tappo. Attenzione, quella bottiglia, che costa una cifra a diversi zeri, è insostituibile, introvabile, perché Jayer è morto nel 2006 e suo nipote Emmanuel Rouget ne ricorda ben poco la classe. Non so se quel brav’uomo di Giorgio Pinchiorri (che capì e acquistò Jayer quando nessuno se lo filava) ne conservi un esemplare nella sua cantina, mi informerò.
Ora, la domanda è: come ci si comporta davanti a una boccia del genere che sa di tappo? O ti suicidi, o la prendi con filosofia; più vicino a Seneca che a Platone, però! Insomma, dopo quel tappo, un tuffo nel vuoto, a cufaniello, mirando il lago di Lugano, ci stava tutto.
Gabriele Speziale ha reagito con composto dolore, d’altra parte ne ha viste di tutti i colori in una lunga carriera iniziata quand’era ancora ragazzino imbarcato sulla Costa Line come “piccolo di camera”, livello più basso, una sorta di commis dèbarasseur. Sono passati parecchi anni e svariate bottiglie da allora, ma Gabriele ha ancora una passione così potente che confessa di non aver dormito per l’emozione la sera precedente. Che bello l’amore che non fa dormire!
Chateau Mouton Rothschild 1959, magnum
Non era ancora premier cru ai tempi, lo divenne una quindicina d’anni dopo. Un vino con la dolcezza dei grandi Porto, per dirla con quel birichino di Robert Parker. Grande struttura tannica con frutto vivo, prugna ma anche cassis, leggermente erbaceo con un’acidità ad oggi ineccepibile. Grande annata la ’59, anche se Mouton-Rothshild, per come si comporta nell’invecchiamento, pare, talvolta, non averne bisogno.
Domaine Leflaive, Montrachet Grand Cru 1992
Questa bottiglia rappresenta la perfezione. Non ha sentori evolutivi e la bocca è piena, armonica, formata. Vino che definirei pastoso ma con ha un’eleganza unica. Molto più vicino a Romanée-Conti che a Coche-Dury, se vogliamo fare accostamenti e, comunque sia, i vini bianchi per piacermi devono somigliare a questo Montrachet 1992, annata particolarmente felice per una bottiglia che ci ha regalato la vera, grande gioia della giornata.
Champagne Bollinger RD 1996, magnum
Sicuramente ancora giovane, da bere ora consiglierei il formato da 0,75, decisamente più pronto. Grandissima annata in Champagne, si sente, e poi la magnum fa la differenza. Naso ampio, grandissimo carattere. Ottima acidità, in bocca è cremoso e ricco di agrume, cedro e spezie, con un perlage impeccabile. Insomma questo vino è un capolavoro anche se si deve ancora accomodare. Qui lo dico e qui lo nego, per me batte anche Oenoteque dello stesso millesimo.
Irrinunciabile conclave fumante sul finale a base di Cohiba Behike e una bottiglia di Florio, Marsala Superiore Riserva 1870 che, purtroppo, non s’è rivelata una chiusura memorabile, o forse avevamo solo la pancia piena, chi lo sa! Nel dubbio abbiamo aperto una magnum di Dom Perignon Oenoteque Rosé 1993, che qui lo dico e non lo nego: è proprio una meraviglia, porco tappo!